Disorientamento. Il paesaggio è spiazzante, le tipiche edificazioni ripetitive della periferia sono stemperate in una atmosfera rurale caraibica. Gli spazi vuoti e normalmente irrisolti, qui diventano giardini, orti, estensioni di lamiera. Alla serialità delle architetture risponde la personalizzazione attraverso il lavorio quotidiano degli abitanti. Le inferriate alle finestre di ferro battuto o di tondino da costruzione saldato dispiegano una quantità di motivi ed invenzioni differenti, le cisterne sospese fuori alle finestre ricavate con bidoni di plastica o fusti di metallo di diverso colore. Casotti, garages e capanni di attrezzi di lamiera riciclata. I graffiti stinti sono sovrastati dal writing indisponente dei ragazzini che lasciano il loro nome dappertutto.
E’ un paesaggio di campagna, che malgrado tutto mantiene una dolcezza inusuale per una periferia urbana. Enormi cornacchie volteggiano sulle case. Il paesaggio sonoro è rigoglioso, la musica onnipresente, punteggiata da galli e capre, le automobili quasi del tutto assenti, quando irrompe lo scoppiettio di un diesel è un evento. E sotto tutto il brusio del vento e del mare lontano.
L’ambiente di periferia che ci troviamo di fronte è poco estremo, le atmosfere ed i colori sono quasi rurali, e le tipiche edificazioni ripetitive sono stemperate in una atmosfera caraibica punteggiata di palme e orti. Gli spazi vuoti tra un edificio e un altro, spesso irrisolti in questo tipo di urbanizzazione, qui diventano giardini, orti, garages, estensioni delle case ricavate di lamiera. Alla serialità delle architetture risponde la personalizzazione attraverso il lavorio quotidiano degli abitanti. Le inferriate alle finestre di ferro battuto o di tondino da costruzione saldato dispiegano una quantità di motivi ed invenzioni differenti, le facciate sono movimentate da cisterne sospese fuori alle finestre ricavate con bidoni di plastica o fusti di metallo di diverso colore. Casotti, garages e capanni di attrezzi di lamiera riciclata sono ricoperti dal writing indisponente dei ragazzini che lasciano il loro nome dappertutto. E la vegetazione che si sviluppa rigogliosa, banani, tamarindi, i cactus usati come siepi da recinzione. E’ un paesaggio che malgrado tutto mantiene una dolcezza inusuale per una periferia urbana, con qualche reminiscenza di borgata romana degli anni sessanta. Rapaci volteggiano sulle case. Il paesaggio sonoro è rigoglioso, la musica onnipresente punteggiata da galli e capre, il traffico automobilistico quasi del tutto assente, quando irrompe lo scoppiettio di un diesel è un evento. E sotto tutto il brusio del vento e del mare in lontananza.
Domino. In giro, nelle piazze, agli angoli, sotto i balconi di Alamar è frequente incontrare gruppi di uomini che giocano a domino, con il tavolo appoggiato sulle ginocchia e contornati di animati conciliaboli di spettatori partecipanti… Una battuta diffusa vuole che gli edifici di Alamar siano stati lanciati da un aereo come pezzi di un enorme domino, e si siano ricomposti in maniera casuale.
Ed in effetti, arrivando ad Alamar la prima volta non è facile rintracciare un disegno, un orientamento urbano, una logica generale dell’impianto viario. Il senso di disorientamento iniziale è legato soprattutto al sistema di nomenclatura toponomastica, basato su zone, microsettori, blocchi, appartamenti numerati. Dare le indicazioni per rintracciare un edificio è pressochè impossibile, la numerazione degli edifici e delle strade non ha una logica riconoscibile, e puoi solo affidarti a complicate richieste dai passanti, spesso incapaci di aiutarti. Non esistono mappe di Alamar di pubblico dominio, anche la mappa complessiva di La Habana la riporta solo parzialmente.
Insediamento. I pareri sulla progettazione di Alamar sono discordanti. C’è chi sostiene che sia la realizzazione di un cattivo piano, chi dice che ci fosse un piano complessivo disatteso nella totale casualità della realizzazione, e chi racconta che si tratti solo di una edificazione spontanea e casuale. Quale che sia la realtà del processo che ha generato l’attuale tessuto urbano di Alamar, indubbiamente i risultati sono meno catastrofici di quanto si dica. Chi alla fine ci vive ad Alamar ti dice che è un buon posto per vivere. Indubbiamente in questo contribuiscono i fattori ambientali, la prossimità del mare, la ventilazione, gli ampi spazi verdi, ma evidentemente esiste anche un fattore sociale, affettivo, di legame con il luogo particolarmente evidente che non è usuale in un insediamento massiccio di recente costruzione. C’è indubbiamente qualcosa nella maniera in cui Alamar è nata e cresciuta che ha prodotto una qualità, se non sul piano architettonico, quanto meno su quello della affezione e del riconoscersi, interessante da indagare. In realtà il disegno urbanistico della città, ci renderemo conto col passare dei giorni, non è così disorientante. La disposizione delle stecche è piuttosto irregolare, e produce una successione di spazi diversi, più o meno ampi, con forme differenti, che creano piazze e spiazzi, cortili e campi giochi. Intorno a tutti gli edifici si succedono recinzioni di giardini spontanei, capanni ed elementi insediati più o meno abusivamente che rendono il paesaggio diversificato e riconoscibile molto più di quanto non voglia il luogo comune.
Ad Alamar vivono circa 100.000 abitanti. Dal punto di vista urbanistico è una città incompleta, in cui si sono realizzate principalmente le unità abitative, rimanendo sprovvista a lungo di infrastrutture e soprattutto di opere di urbanizzazione. Comunque, allo stato attuale, ogni settore di Alamar ha almeno una scuola, ed un mercato… mentre i banchi di scuola sono stracolmi di ragazzini in divisa, i banchi del mercato sono per di più vuoti. La mancanza di beni di consumo appare decisamente più evidente della mancanza di infrastrutture.
Costruzione. La costruzione di Alamar è iniziata nel 1971, quando diventa chiaro che l’ideale rivoluzionario di una società eminentemente agricola (programma di produzione della canna da zucchero) deve fare conti con un processo di urbanizzazione ineluttabile e con il degrado del patrimonio edilizio. Alla metà degli anni sessanta, Fidel Castro aveva lanciato un ambizioso progetto che prevedeva la realizzazione di oltre 100.000 unità abitative in tutta l’isola entro il 1970, introducendo anche un massiccio dispiegamento di tecniche di prefabbricazione. In realtà il programma viene in gran parte disatteso, così come l’obbiettivo della prefabbricazione che viene adottata solo parzialmente e in una percentuale minoritaria delle edificazioni realizzate. L’idea di un grande progetto di autocostruzione ad Alamar nasce al seguito di una conversazione con Màximo Andion, amministratore della fabbrica metallurgica “Vanguardia Socialista” di Guanabacoa, che manifestava le preoccupazioni degli operai per la lentezza della risposta del ministero delle costruzioni al problema abitativo dei lavoratori.
Microbrigades. Nel 1971 viene lanciato un programma di riallocazione di risorse nel settore edilizio: nasce l’esperienza delle Microbrigades, che vuole coniugare risorse statali e partecipazione attiva dei cittadini destinatari degli alloggi. Le Microbrigades sono gruppi di 33 persone, provenienti da altri settori professionali, che formano delle squadre di costruzione per realizzare un intenso programma di edificazione di massa.
Gran Panel. In quegli anni, gli alleati sovietici forniscono un impianto industriale per la fabbricazione del cemento, che consentirà di produrre pannelli prefabbricati per alimentare il programma. Si diffonde dunque in quegli anni l’uso del cosidetto “gran panel”, una opzione che di fatto ridurrà di molto la elasticità possible delle soluzioni abitative, e ridurrà la qualità media della progettazione architettonica cubana. Se ancora per tutti gli anni sessanta la ricerca architettonica cubana propone soluzioni ricercate ed esiti interessanti, gli anni settanta, non dissimilmente dal più vasto panorama internazionale, marcano un generale ribasso degli obbiettivi qualitativi delle architetture residenziali, a favore di una risposta rapida ad una emergenza quantitativa. Ciononostante, un ideale di livellamento ed innalzamento dela qualità minima viene perseguito su larga scala. In questo panorama di pragmatica mobilitazione per la produzione massiccia di alloggi, matura la particolare esperienza che affianca l’adozione di tecniche rudimentali di prefabbricazione al dispiegamento di manodopera non specializzata, in una compinazione inedita e particolare.
Plan Alamar. Il primo piano di costruzione di massa avviene dunque con il “Plan Alamar”, come viene ufficialmente denominato con un atto ufficiale del 18 febbraio 1971. Il movimento viene anche chiamato “tupamaros” in omaggio al movimento rivoluzionario Uruguaiano. Màximo Andion viene nominato direttore del piano che iniziò con 22 microbrigadas all’opera. Nel 1972 erano già 82 e l’anno seguente superarono le cento. A Settembre del 1971 viene ultimato il primo edificio, l’A3, della Microbrigada Miguel Saavedra, che aveva ricevuto il supporto di altre microbrigadas. Il piano di Alamar fu concepito inizialmente per 120.000 abitanti, suddiviso in 10 microdistretti residenziali ed uno industriale. Ogni microdistretto prevedeva il suo centro commerciale, scuole e altre opere sociali. Già nel 1975 esistevano 6 scuole e 8 circoli infantili, 3 centri commerciali un policlinico e varie attività produttive e ricreative. Ad alamar venne anche stabilita una filiale della facoltà di architettura (CUJAE) per favorire la pratica diretta degli studenti presso i cantieri.
Peculiarità del progetto era di non essere solo una soluzione tecnico-amministrativa al problema abitativo. Esso dispiegava anche un progetto politico sociale e comunitario di insediamento socialista. La direzione del piano non si limitava a gestire la produzione, ma deteneva anche l’amministrazione della comunità. Un sistema di rappresentanza al cui vertice si poneva il vice-direttore del piano affiancato dei delegati eletti uno per ogni edificio. I delegati di ciascuna zona eleggevano anche un capodelegato di zona. I delegati di ciascun edificio convocavano mensilmente una riunione con i vicini. Immaginiamoci delle riunioni di condominio in grado di esprimere una rappresentanza politica locale. Questo sistema di governo locale diretto fu applicato fino al 1976, quando entrò in vigore su tutto il territorio nazionale la legge che istituiva gli organi locali del Poder Popular. A tutt’oggi è visibile un riflesso di questa organizzazione capillare nella presenza dei CDR , comitati di difesa della rivoluzione, in ogni edificio. Se in tutta cuba il fervore rivoluzionario è chiaramente espresso in ogni luogo, Alamar sembra particolarmente caratterizzata dall’essere sin dalla costruzione, attraverso il coinvolgimento dei suoi abitanti , una “ciudad comunista de nuevo tipo” . Uno dei punti su cui ci è sembrato interessante indagare è il riflesso sulla comunità e sulle relazioni sociali che deriva dalla partecipazione ad un progetto di autocostruzione diffusa che ha portato molti degli abitanti ad essere i fautori diretti delle loro abitazioni.
Principalmente le Microbrigades si formano nell’ambiente lavorativo. Gruppi di impiegati di aziende pubbliche, industrie, ministeri o corpi militari vengono destinati al progetto di costruzione delle loro abitazioni. Ai 33 membri impiegati a tempo pieno si affiancano volontari part time che mantengono le mansioni sul posto di lavoro e si aggiungono nei fine settimana. Oltre ai lavoratori che realizzano I propri appartamenti, sono previste delle quote di alloggi sociali, destinati ad anziani e a persone non in grado di partecipare essi stessi alla costruzione. L’aspetto di più difficile comprensione è il meccanismo di attribuzione del diritto all’alloggio , basato sul merito, ovvero la valutazione di un diritto maturato per meriti lavorativi, politici, rivoluzionari. Una materia molto ambigua, evidentemente, su cui le risposte che abbiamo raccolto non sono pienamente esaurienti.
Microbrigada 48 è un documentario del 1974 che segue l’esperienza di una di queste unità di costruzione dall’inizio alla fine. Abbiamo rintracciato la pellicola all’ICAIC, dove abbiamo potuto visionarla alla moviola. Le immagini in bianco e nero graffiate, il suono ottico metallico restituiscono una patina di altri tempi, alle immagini di poco più di trenta anni fa. Al di la dell’aspetto datato, in realtà le immagini della costruzione degli edifici sono esattamente uguali a quelle che abbiamo osservato direttamente in quei pochi cantieri tuttora all’opera per nuove realizzazioni ad Alamar. Per quanto le critiche al modello urbanistico ed architettonico abbiano fatto progressivamente abbandonare l’enfasi sulla tipologia progettuale e sulla modalità costruttiva, tuttora ad Alamar si costruisce ancora, anche con il sistema delle microbrigadas, sebbene le imprese di costruzione statali tradizionali siano ora il metodo più diffuso.
Municipio. Alamar fa parte di Habana del Este, uno dei cinque municipi della capitale. Sorge sul mare a pochi chilometri dal centro, nella zona Est, oltre la zona di Cojmar con le più elaborate e pregiate edificazioni di Villa Panamericana e le infrastrutture sportive realizzate per i giochi panamericani del….
Prima della rivoluzione questa area era proprietà di poche grandi immobiliari, in gran parte legate a capitali statunitensi, ed era destinata a strutture turistiche, alberghi, campi da golf e abitazioni di pregio. Il plan Alamar muta radicalmente lo sviluppo di questa zona. Alamar diventerà il più grande esperimento di edilizia socialista moderna di Cuba. Il tessuto è composto in massima parte di edifici alti quattro piani, con dodici appartamenti organizzati intorno ad un corpo scala esterno, raggruppati in stecche generalmente di tre o quattro scale. Il modulo grosso modo si ripete uguale, seppure con le minime variazioni che segnalano il passare dei tempi ed il permanere di una certa componente artigianale della costruzione. Gli elementi standardizzati, pannelli e travi prefabbricate, scale, cisterne, infissi a veneziana senza vetri, sono controbilanciati da una serie di variazioni quasi infinita. Nei colori, nelle rifiniture, nella disposizione. La disposizione degli edifici trascura di tracciare una griglia ben definite, e gli edifici si succedono disegnando spazi piuttosto disomogenei, delimitando ampi spiazzi, creando corridoi, e passaggi disomogenei. Ampie aree inedificate sorgono ovunque, anche nelle zone più centrali e di vecchia edificazione, a volte recintate e trasformate in orti e giardini, più spesso lasciate alla vegetazione spontanea o come spiazzi aperti.
Centralità. Alamar non ha un centro. E’ una città diffusa, che si articola semmai intorno ai centri commerciali e ai mercati delle varie zone. La centralità principale è rappresentata semmai dall’asse dell’avenue des cocos, il viale alberato di palme che conduce verso il mare, su cui sorgono quei pochi edifici più alti, una torre di 18 piani e quattro di 12 piani che costituiscono gli elementi di maggiore densità urbana. Su questo asse sorgono anche la casa della cultura, il cinema, il parco giochi… è questa la porta di ingresso alla città, e ne costituisce l’aspetto di maggior pregio visuale. Di fronte agli edifici più alti sorge anche un quartiere di cassette basse, anch’esse basate sulla modulazione di elementi prefabbricati, minime nella dimensione ma di ottimo pregio formale. Sono le cosiddette “case dei Russi”, perchè inizialmente abitate principalmente da tecnici sovietici. Per il resto, l’immagine della città è sostanzialmente ripetitiva e monotona.
Distribuzione. Uno degli aspetti peculiari della città socialista di Alamar è che essa non sembra riprodurre a livello evidente le dinamiche di segregazione o separazione di classe e cultura proprie dell’urbanizzazione moderna. Ad Alamar la popolazione è distribuita in maniera sostanzialmente omogenea per estrazione culturale e tipo di professione. Semmai, sono gli edifici, originariamente costruiti da gruppi di colleghi di lavoro, a mantenere qualche sostanziale aggregazione sulla base della professione. L’edificio è una unità sociale ben definite, con l’immancabile CDR. Almeno ad un livello riconosciuto non sembrano esistere “zone bene” e zone malfamate, anche se nei fatti, esplorando il territorio sono riconoscibili chiaramente zone più degradate, che prevedibilmente corrispondono a collocazioni marginali, sostanzialmente penalizzate da condizioni ambientali.
Il lavorio della vita quotidiana. A dispetto della serialità da scatola di montaggio dell’edificato, il vissuto degli abitanti incide con il lavorio della quotidianità sull’intero paesaggio urbano. All’insegna del riciclaggio più radicale, nella scarsezza dei mezzi, il territorio della città viene modificato con giardini, garages, spazi di ritrovo. Una notevole creatività scaturisce nell’impiego di ogni sorta di metallo, lamiera di bidoni o tondino da cantiere che sia, per realizzare recinzioni, cancelli, inferriate.
Mapping workshop. Proviamo a disegnare una mappa della città. A quanto pare non esiste una rappresentazione della città ad uso del cittadino. Evidentemente ci sarà una ricchezza di mappe mentali a cui attingere per ricostruire una mappa della città come percepita dai cittadini. Decidiamo di coinvolgere gli omni in questa impresa. Chi meglio di loro, con una esperienza autodidatta nelle arti plastiche e figurative, una pratica di artisti sociali radicati nel territorio, e soprattutto, ragazzi di Alamar cresciuti più o meno insieme alla città. Per la tecnica, ricorriamo alla più rudimentale tecnologia popolare a disposizione. Fogli di carta di giornale incollati insieme e pastelli, pennarelli, gessetti, qualsiasi tecnica si voglia usare per estendere la capacità di raccontare la città…Yohi si è procurato una carta digitale della città, un file di fotoshop che riporta solo il tessuto delle strade, non sappiamo neanche a quando risale. Che sia una carta molto vecchia, o una carta di progetto della viabilità, ci rendiamo subito conto che delle poche informazioni che da non tutte sono corrette. Infatti la realtà del disegno che ricaviamo dallesperienza ed osservazione conmune ci sono molte discrepanze. Comunque la carta si rivela utile per riportare il disegno secondo una relativa correttezza di scala. Dividiamo il file di fotoshop con una griglia orientata a nord usando dei rettangoli con la stesso rapporto dimensionale del Granma, il quotidiano locale, un formato tabloid ripreso da tutti i periodici cubani, e anche dal giornale della biennale, che fornisce la materia principale alla manifattura. Dopo di che il gruppo si spartisce i quadranti, scegliendo più o meno ciascuno la zona in cui vive. Ciascuno cercherà di disegnare una mappa della sua zona, segnalando tutto quello che gli sembra significativo… Cominciano ad emergere le osservazioni di ogni tipo. Come la disposizione degli edifici contrasti, alle volte disattenda completamente il disegno delle strade…
Psicogeografia. I russi, i fantasmi della guerra fredda, rifugi sotterranei, strutture abbandonate. I bunker, su cui si accende la discussione sulla logica militare dell’apparato difensivo cubano, durante la rivoluzione e durante la guerra fredda..
“calle hecha”: I sentieri tracciati dal passaggio quotidinano, non progettato degli abitanti.
Llega y pon: è il termine con cui si indicano gli insediamenti abusivi, squat disseminati nelle isole di boscaglie e zone non urbanizzate. Alcuni di essi vengono poi legalizzati, come quello che ci porteranno a visitare I nostri amici.
Resolvir. A cuba tutti vivono in una certa misura nell’illegalità.